Caro Fabrizio, ti racconto di un viaggio- Seconda edizione premio letterario nazionale
Indetto dall’ Associazione Cercando Fabrizio e… E’ un concorso di narrativa aperto a chiunque voglia esprimere in prima persona se stesso, i suoi pensieri, le sue esperienze, rivolgendosi a Fabrizio che diventa così il custode dei nostri passi e si tramuta in un Diario di viaggio umano. Sezione A “Caro Fabrizio, ti racconto di un viaggio” – racconto di un viaggio, che si immagina compiuto insieme a Fabrizio – racconto di un viaggio compiuto da soli o con altri, che si immagina rivolto a Fabrizio Sezione B – “Fabrizio inizia ed io concludo” conclusione del racconto già iniziato da Fabrizio all’età di 16 anni (scaricabile dal sito cliccando su questo link) Chi si sentisse particolarmente ispirato e vicino alla sensibilità di Fabrizio può partecipare al concorso, dando una fine al suo racconto. SCADENZA ISCRIZIONE AL CONCORSO 31 MARZO 2016. L’Associazione, viste le numerose richieste e vista la complessità della sezione B, ha deliberato una nuova proroga della scadenza consegna elaborati, solo per la sezione B, fino al 30 settembe 2016.
Le due sezioni saranno a loro volta suddivise a seconda dell’età: – Giovani dai 14 ai 20 anni – Senior dai 20 anni in avanti. Il racconto, in lingua italiana, deve essere inedito e per la Sezione A deve essere composto di non più di 10.000 caratteri, spazi inclusi e 20.000 caratteri indicativi per la Sezione B. Ogni autore può partecipare con un unico elaborato. L’elaborato deve essere inviato in formato .doc o .docx all’indirizzo e-mail concorsoletterario@fabriziocatalano.itl Iscrizione gratuita. Clicca per scaricare bando pdf fac-simile scheda dati
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DAL RACCONTO DI FABRIZIO – […]L’attracco fu lento e noioso, sembrava che quel trabiccolo avesse cessato di vivere. L’ansia che quel lungo viaggio aveva suscitato in noi stava per scaricarsi e ci rendeva impazienti e nervosi. Raccogliemmo in fretta le nostre cose e ci appostammo sulla via dell’uscita, pronti a scattare verso una nuova terra, ignota e sconosciuta, ricca del suo antico fascino. Un non so che di misterioso avvolgeva la Grecia e ci rendeva vittime della sua influenza e forza antica.Perlustrammo i dintorni del porto, tutti i colori e i costumi del mondo racchiusi in quel piccolo antro della terra. Ogni singolo punto nodale è simbolo di un’ unione che viene dal piacere del cambiare, spostarsi, vedere con i propri occhi che complesso di perfezione sia la sfera che calpestiamo ogni giorno. L’abitudine e la routine ci rendono ciechi di fronte ai piccoli particolari che danno il valore meritato alle nostre vite. Siamo uomini limitati e prevedibili. […]
Un giorno d’estate del 2006 decidetti, insieme a mia cugina e ad un amico, di intraprendere un viaggio verso la Spagna. Doveva essere un’esperienza avventurosa, saremmo partiti con l’automobile ed avremmo raggiunto Barcellona, dove avremmo dormito in spiaggia o in qualunque altro posto si prestasse all’accampamento. Non avevamo intenzione di considerare hotel o campeggi, ma acquistammo una tenda nella convinzione che avremmo trovato un luogo dove poter dormire gratuitamente.
Un paio di giorni dopo aver preso la decisione, partimmo. Mi misi al volante della vettura del mio amico, che era un mio coetaneo (avevamo diciannove anni), e mi resi subito conto che, per trovare la strada giusta, avremmo dovuto costeggiare la Francia piuttosto che accorciare il tragitto passando per il traforo del Frejus. Del resto avevamo solamente uno stradario cartaceo, non eravamo forniti di Gps ed i cellulari, dieci anni fa, non erano smart. Mia cugina, che viaggiava con noi, aveva soltanto quindici anni. Non che noi fossimo più grandi di molto, ma per noi era una responsabilità dover badare ad una minorenne. Le nostre famiglie erano tranquille: sapevano tutti che avevamo la testa sulle spalle e che non ci saremmo messi nei guai nonostante lo spirito avventuroso del viaggio.
Quando arrivammo a Barcellona ci rendemmo subito conto che non era possibile dormire in spiaggia, né lì, né nei paesini limitrofi. Era troppo scomodo per chi aveva guidato da Torino alla Spagna, ma soprattutto, le forze dell’ordine sembravano aver adottato una policy di tolleranza zero nei confronti degli accampamenti. Eravamo arrivati a Barcellona intorno alle ore 19.00, dopo più di dieci ore di viaggio, ma solamente alle ore 23.00 trovammo un campeggio economico nella graziosa cittadina di Blanes, perchè avevamo perso tempo in un paio di bar. Purtroppo, a quell’ora non era possibile registrarsi e ci venne detto di ritornare la mattina seguente. Dovevamo quindi scegliere se passare una notte in macchina, oppure se cercare un ostello. Scegliemmo la seconda opzione: eravamo davvero stanchi e desideravamo soltanto poter dormire per poi fare una doccia al nostro risveglio.
Perdendo tempo “tra una cosa e l’altra”, si erano fatte le 2.00 e trovammo soltanto un ostello adatto disposto ad accoglierci a quell’ora di notte. Non sapevamo dove fossimo, eravamo da qualche parte tra Blanes e Barcellona e l’ostello era situato a ridosso di una stazione di benzina. Era uno di quei posti adatti ai camionisti che cercano ristoro senza troppe pretese. Trovando la porta dell’ostello ancora aperta, entrammo per chiedere di poter avere una stanza per tre persone. C’erano due uomini, i due proprietari, uno era più vecchio ed uno più giovane. Si somigliavano, forse erano padre e figlio. Blaterarono qualcosa tra di loro e, da quanto capii, il vecchio non voleva darci una stanza, mentre il giovane sì. Dopo aver assistito a questa discussione, il giovane ci disse di attendere. Andò al secondo piano a pulire una stanza per noi e passò circa mezz’ora. Eravamo stupiti dal tempo d’attesa, ma desideravamo solo sdraiarci su un letto e stavamo quasi dormendo in piedi, per cui non ci focalizzammo molto sulla cosa.
Quando l’uomo tornò alla reception, prese i nostri documenti per la registrazione e lo pagammo per una notte. In quel momento mia cugina fece un grave errore: tirò fuori tutti i soldi dal portafogli per contarli velocemente e dargli la cifra giusta. Ci indicò dunque il numero della stanza al secondo piano e, mentre salivamo le scale, ci rendemmo conto che il posto era deserto, abbandonato a se stesso ed abbastanza inquietante. Ai muri vi erano appesi piccoli ritratti di chissà quale persona e non vi era contrasto di colore tra il bianco delle scale e le mura. Sembrava un vecchio manicomio, di quelli che si vedono nei film horror. L’uomo ci guardava da sotto, dal piano terra, con uno strano ghigno sul volto, mentre salivamo le rampe di scale. Questo suo modo di fare ci spaventò un po’, ma pensammo che, semplicemente, doveva trattarsi di un tipo strambo.
Raggiunta la nostra stanza avemmo subito, tutti e tre, una sensazione stranissima. Appena varcata la soglia ci accorgemmo che vi era un puzzo forte e fastidioso, uno di quegli odori che, una volta che lo senti, non riesci mai più a dimenticare. Sembrava odore di carne lasciata fuori dal frigo per settimane, sembrava, in poche parole, odore di cadavere. Noi non avevamo idea di quale fosse l’odore dei corpi in decomposizione, ma quando lo sentimmo, lo riconoscemmo. Era proprio quello, non c’era altra possibilità. Sul momento, però, eravamo talmente confusi da non voler pensare al peggio. La stanza era sporca, la coperta del letto era macchiata e, sulla testiera, vi era un santino. Era “Santa Tecla” e dietro l’immagine vi era scritta una sorta di preghiera che chiedeva alla Santa protezione durante il trapasso. Decisi di non dormire su quel letto, c’era qualcosa di strano. Ebbi la sensazione che lì qualcuno era morto.
Con mia cugina ed il mio amico parlammo dell’ipotesi di andare via. Ci metteva in difficoltà, però, l’idea di dover dare una giustificazione: parlando tra di noi delle varie possibilità, pensammo anche che quel tizio strambo potesse farci del male, dato che in albergo non c’era nessun altro cliente. Non so perchè, ma lo sapevamo: forse lo avevamo intuito dal rumore che fece nell’indicarci la nostra stanza. Prendere una decisione in quel momento non era semplice, ma alla fine scegliemmo di barricarci dentro la stanza chiudendola a chiave, ponendo contro la porta una vecchia scrivania che si trovava al suo interno. Avremmo però dovuto dormire con la porta-finestra che dava sul balcone aperta, perchè il puzzo era così forte da farci girare la testa. Stendemmo un sacco a pelo per terra, tra il letto e la porta-finestra. C’era circa un metro di spazio ed, in quel metro, ci avremmo dormito in tre.
Prima di dormire uscimmo in balcone per fumare una sigaretta e notammo che la porta-finestra della stanza accanto alla nostra era aperta. I due balconi confinavano, per cui riuscimmo anche a guardare dentro e notammo che non vi era nessuno, ma la luce era accesa. Alla fine, restammo per circa un’ora sul balcone, perchè quell’odore non ci permetteva di rimanere nella stanza per più di due minuti. Fu il mio amico a trovare, in un armadio, una coperta arrotolata, dalla quale sembrava provenire l’odore forte. Pensammo che quella coperta doveva aver avvolto qualcosa, ma cercavamo di non farci suggestionare.
Trovammo il coraggio di provare a dormire intorno alle 4.00 di notte. Spegnemmo la luce della stanza e ci accucciammo per terra, sopra al sacco a pelo. Passò circa mezz’ora, quando sentii un rumore. Erano passi: qualcuno stava salendo di corsa le scale. Cercai di svegliare il mio amico, che però neanche rispondeva. Mia cugina, invece, era sveglia come me. Anche lei non riusciva a dormire in quel posto da film horror. Le chiesi: “Hai sentito?” e mi disse soltanto “Sì”. Dopo poco sentimmo qualcuno correre in corridoio, verso la nostra porta. Quel qualcuno provò ad aprirla, ma per fortuna, oltre ad avervi messo contro una scrivania, avevamo lasciato le chiavi all’interno della serratura. Iniziai a tremare. Ero pietrificata e non riuscivo a dire una sola parola. Dopo qualche istante, quella persona lasciò perdere la porta e sentimmo dei passi nella stanza accanto. Capimmo immediatamente la ragione per cui era stata lasciata una luce accesa.
Non sapevo cosa fare, credevo che non avremmo avuto possibilità di uscirne vivi. Sentivamo rumori e non capivamo cosa stesse succedendo. Fu in quel momento che mia cugina, la più piccola di noi, trovò la forza di alzarsi in piedi. Guardò dalla porta-finestra e si accorse che quell’uomo, il proprietario dell’albergo, si trovava sul balcone della stanza accanto alla nostra e stava cercando di scavalcare il divisorio per raggiungerci. Mia cugina uscì sul balcone, gridò con tutta la forza che aveva in gola e si scaraventò verso di lui per buttarlo di sotto. L’uomo riuscì a rimettere i piedi sul balcone della stanza accanto e si volatilizzò.
Volevamo andarcene e subito, ma non riuscivamo a svegliare il nostro amico che, paradossalmente, aveva sempre avuto un sonno leggero. Quella notte, però, non sentì neanche un rumore e, nonostante gli strattoni che gli davamo per svegliarlo, riusciva a voltarsi dall’altro lato senza aprire neanche un occhio. Non potevamo far altro che aspettare, del resto come avremmo potuto affrontare l’uomo alla reception? L’unica soluzione era attendere le luci del giorno e la nostra unica speranza era che vi fosse un via vai di gente alla pompa di benzina. Fu la notte più lunga della mia vita. Ripensai ad un sogno che avevo fatto prima di partire per Barcellona, che si poteva definire, a quel punto, premonitore. Il sogno, però, non finiva bene. Iniziai a pregare e lo feci fino al sorgere del sole.
Non so che ora fosse, ma di prima mattina, non appena notammo un via vai di persone alla pompa di benzina (come speravamo), raccogliemmo le nostre cose e riuscimmo a svegliare il nostro amico. Non riusciva a credere di non aver udito un solo rumore. Dopo una risata isterica capì che quanto era successo era reale. Prese la telecamera che avevamo con noi e filmò la stanza in ogni suo dettaglio. Con la luce del sole ci rendemmo conto che, sotto al letto, vi erano delle macchie di sangue in corrispondenza di quelle che si trovavano sulla coperta e sul materasso. Di fronte a quella scena, il nostro amico si mise a piangere per non essere stato in grado di proteggerci.
Uscimmo dalla stanza e non ci sembrava vero. Andammo al piano terra, verso il bar che si trovava a pochi metri dalla reception e trovammo quell’uomo. Stava parlando con una donna di mezza età e, per fortuna, c’erano diverse persone che dopo aver fatto benzina erano entrate per fare colazione. Non dicemmo nulla, ci diede i nostri documenti, ci fulminò con lo sguardo e fece un ghigno. A quel punto eravamo liberi e scappammo velocemente da quel posto.
Quell’esperienza mi fece riflettere molto: i miei familiari non sapevano dove fossi, sapevano soltanto che alle 19.00 ero arrivata a Barcellona e che avrei cercato un posto per dormire, perchè l’idea di accamparci in spiaggia non era attuabile. Quell’uomo aveva tenuto i nostri documenti per tutta la notte e farci sparire sarebbe stato facile per lui: sapeva bene che il suo ostello era uno di quei posti che nessuno frequenterebbe mai se non fosse alla ricerca di una sistemazione provvisoria e di fortuna. Sapeva anche, probabilmente, che non sapevamo dove fossimo e che qualunque indicazione avremmo potuto dare da lì ai nostri familiari in Italia, sarebbe stata troppo generica. Del resto, chi si presenta in un posto del genere alle 2.00 di notte chiedendo di una stanza? Camionisti o sventurati come noi.
Ebbi incubi per anni, ma ciò che più mi spaventò è che potevo essere una di quelle persone scomparse nel nulla e la mia famiglia non avrebbe avuto modo di sapere in quale zona avevo passato la notte. Non solo, con me ed il mio amico c’era una minorenne. Quell’idea di vivere un’avventura, che era nata un po’ per gioco, si poteva trasformare nella nostra fine ed avrebbe fatto vivere i nostri familiari nell’angoscia per chissà quanto tempo. Forse per sempre.
Quando conobbi Caterina mi ritornò alla mente quello che avevo vissuto a Barcellona. La storia di Fabrizio fu il secondo caso di scomparsa che trattai in qualità di collaboratrice giornalistica. Dopo la prima telefonata con Caterina pensai che niente avviene per caso. Forse la terribile esperienza spagnola mi servì perchè mi fece capire che anche la mia famiglia avrebbe potuto vivere un incubo. Nella mia mente, questo mi aiutò a delineare i miei obiettivi: volevo fare la differenza, volevo aiutare Caterina a riabbracciare Fabrizio.
Il mio percorso giornalistico fu segnato da questo incontro. Iniziai ad occuparmi di persone scomparse e, successivamente, anche di delitti irrisolti. Quello che mi ha sempre spinto ad andare avanti, nonostante le tante difficoltà, fu un profondo desiderio di giustizia. Scrivere, però, non mi bastava. In realtà mi accorsi che non era quello che volevo, era stato soltanto uno strumento che mi spingeva -ogni giorno di più- a prendere la decisione più importante della mia vita, ovvero realizzare un mio sogno: studiare criminologia. Sfruttai la mia conoscenza della lingua inglese e superai i test di ammissione all’Università in Inghilterra, scegliendo come percorso di studi Criminologia e Giustizia Criminale (diritto penale).
Ad oggi sono prossima alla laurea magistrale, sono quasi una Criminologa, oltre ad essere diventata una giornalista pubblicista. Se guardo indietro, vedo ciò che mi ha dato il coraggio di intraprendere questo percorso… E vedo Caterina. Rivedo il nostro primo incontro dal vivo ed i nostri progetti per migliorare il sito dedicato alla ricerca di Fabrizio. Non credo di aver fatto abbastanza, penso ogni giorno che potrei fare molto di più, sia per la famiglia Catalano, che per le altre persone che attendono risposte. E’ per questo motivo che non vedo l’ora di finire con gli studi, perchè soltanto così riuscirò ad aiutarli in modo concreto.
Quello che vorrei dire, soprattutto ai giovani, è di evitare di vivere all’avventura. Al giorno d’oggi ci sono tantissimi modi per rimanere in contatto con i propri genitori (tutti abbiamo uno smartphone, oramai) e basta poco per inviare loro un messaggio e fargli sapere dove ci troviamo, anche quando si decide di intraprendere un viaggio. Ci sono addirittura le opzioni per condividere la propria posizione con qualcuno, ed io avrei voluto avere la possibilità di farlo durante quell’orribile esperienza. Certe piccole accortezze possono salvarci la vita e risparmiare il dolore ai nostri cari. Anche quando una persona decide di “sparire dalla circolazione”, o di cambiare vita, un contatto telefonico con la propria famiglia è dovuto. Perchè non si può immaginare lo strazio di vivere nell’incertezza.
Un abbraccio forte forte Fabrizio…torna presto la tua adorata famiglia ti aspetta insieme a noi!!!
E’ una storia straziante perchè sono un padre